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Lettera dal carcere ai tempi del coronavirus

«Ci siamo meritati una pena non una tortura. Ci dovrebbe essere tolta la libertà, non la dignità, il diritto alla salute, il diritto a vivere». Con una lunga lettera indirizzata al Presidente della Repubblica Mattarella, a papa Francesco e al Presidente del Consiglio Conte i detenuti della Casa di reclusione Due Palazzi di Padova manifestano la loro preoccupazione per l’emergenza in corso vissuta nelle loro condizioni («difficili, in alcuni casi impossibili») e lanciano un appello a nome delle migliaia di persone che scontano una pena in un istituto penitenziario in Italia.
«Come tutto il mondo esterno, anche noi detenuti siamo molto preoccupati da questo CORONAVIRUS ora classificato come pandemia, che coinvolge tutti senza distinzione alcuna e che sta cambiando inevitabilmente la vita di tutti.
Come è naturale che sia, anche noi tra gli “ultimi” della società siamo angosciati per i nostri cari che sono al di fuori di queste mura, come loro lo sono per noi. Le condizioni in cui ci troviamo a vivere sono difficili, in alcuni casi impossibili.
Qualcuno potrebbe dire che nel Veneto tutto sommato la situazione non è delle peggiori (ma vi assicuriamo che è la guerra dei poveri), come pure qualcuno potrebbe dire che il carcere ce lo siamo meritato. Per la stragrande maggioranza è vero, ma ci siamo meritati una pena non una tortura. Ci dovrebbe essere tolta la libertà, non la dignità, il diritto alla salute, il diritto a vivere.
Le restrizioni imposte le rispettiamo ma non le condividiamo del tutto. Ad esempio alcune misure attuate in virtù dell’emergenza, atte al contenimento del virus, come la sospensione dei colloqui con i famigliari, le attività dei volontari e delle associazioni, i permessi premio e le attività degli uffici di sorveglianza. Facciamo fatica, signor Presidente e sua Santità, a capire la bontà di queste scelte.
Vorremmo si capisse la drammaticità di questa scelta per noi. Una visita anche un’ora alla settimana, una parola di conforto di un volontario, un’attività anche se saltuaria, sono piccole cose che ci tengono in vita. Forse tanto malessere non si sarebbe manifestato con violenza se fossero state comunicate ai detenuti le disposizioni tenendo conto del dolore che avrebbero provocato e dando subito in contemporanea la possibilità di telefonare tutti i giorni e di avere colloqui skype più frequenti.
Molti di noi, che hanno avuto la fortuna di avere un lavoro grazie a molte cooperative e aziende, ancor oggi (anche se non tutti) continuano a scendere al lavoro, ma il 98% dei detenuti in Italia non hanno questa fortuna. Noi del 2% ci permettiamo di rivolgere questo accorato appello. Appello che rivolgiamo per tutti noi persone detenute in Italia (presto questo problema lo vivranno anche negli altri Paesi Europei e nel Mondo), ma ci permettiamo di rivolgerlo anche per tutto il personale dell’Amministrazione penitenziaria, agenti in primis.
Noi oggi dobbiamo lottare tutti uniti contro la stessa cosa e non contro di noi. Qui non vale più il gioco di guardie e ladri! Qui in gioco c’è la vita di ciascuno di noi. Il “merito” che può avere questo “maledetto virus” è da una parte quello, volenti o nolenti, di metterci tutti sullo stesso piano, perché tutti abbiamo bisogno l’uno dell’altro e della collaborazione vicendevole, dall’altra di imporci una seria riflessione, una vera domanda sul senso della vita, della Vita di ciascuno di noi, anche del più derelitto. Ecco perché serviva da subito, ma non è mai troppo tardi, un’attenzione più umana tanto nei confronti di noi 61.000 detenuti e delle nostre famiglie, quanto per le circa 45.000 persone, e relative famiglie, impegnate nella gestione delle 189 carceri.
Una più larga, completa, umana e professionale misura sarebbe stata certamente più efficace ma soprattutto compresa e ben accetta. Inutile ricordare che le condizioni carcerarie, il sovraffollamento e tutto ciò che ne concerne non permettono di rispettare anche le regole più basilari che ci vengono indicate dai mezzi di informazione a tutte le ore.
Con questa nostra missiva, altresì, vogliamo esprimere la nostra vicinanza, a tutte quelle categorie che nonostante tutto e con tutte le difficoltà del caso continuano a garantire assistenza, cure, sicurezza e controllo.
Vogliamo ringraziare tutti i volontari, la loro assenza ci ha fatto capire quanto preziosi sono e a volte quanto male li trattiamo. Vogliamo ringraziare in modo particolare i nostri angeli della Sanità: ai medici e agli infermieri va un simbolico ma sincero grande abbraccio e un elogio rivolto alla professionalità ed umanità che li contraddistinguono. Guardiamo alla loro testimonianza con grande commozione. Sentiamo inoltre il bisogno di sentirci vicini a tutte quelle famiglie che hanno perso delle persone care, noi qui in carcere sappiamo benissimo che cosa voglia dire perdere una persona cara (madre, padre, moglie, figli, fratelli…) senza potergli essere accanto e per molti di noi anche senza potersi recare al funerale.
In tutte le carceri in modo diverso tutti cerchiamo di aiutare come possiamo. Due esempi per tutti. Dal carcere di Venezia le detenute dopo un’assemblea hanno scritto una lettera per far sentire la loro voce in segno di solidarietà, comunicando che hanno raccolto 1 euro a detenuta per il Reparto di terapia intensiva dell’ospedale dell’Angelo di Mestre (in 70 hanno raccolto 110,00 euro).
Alla Casa di reclusione di Padova tra le tante attività una in particolare riguarda proprio il mondo della sanità. Il gruppo di lavoro, nonostante le difficoltà, la paura e la preoccupazione, continua nel suo piccolo a fornire il servizio “CUP”, centro unico prenotazioni per l’ospedale di Padova (Asl 6/7/5) ed un servizio per l’Ospedale di Mestre. Non potete immaginare che cosa voglia dire poter dare il nostro contributo in un momento come questo, ci fa sentire vivi!
Non cerchiamo lodi o ringraziamenti, ma siamo fieri e orgogliosi del piccolo contributo che proviamo con pazienza e dedizione a offrire a persone bisognose e vulnerabili come mai in questo momento.
Le nostre famiglie sono molto preoccupate per noi, cosi come noi per loro. Gli Istituti di pena, non sono immuni dal pericolo, anzi sono particolarmente vulnerabili considerate le condizioni in cui versano. Ci chiediamo a questo proposito come verrebbe affrontata una diffusione dello stesso negli Istituti in caso di contagio, considerati il sovraffollamento e le stesse strutture che non permettono le essenziali norme di sicurezza. Ci preoccupa non poco la circolare che ha emesso il capo del DAP: il personale della Polizia Penitenziaria che svolge le sue funzioni presso le carceri deve continuare a prestare servizio anche nel caso in cui abbia avuto contatti con persone contagiate o che si sospetti siano state contagiate, in quanto “operatori pubblici essenziali”, e nell’ottica di “garantire nell’ambito del contesto emergenziale, l’operatività delle attività degli istituti penitenziari” e quindi di “salvaguardare l’ordine e la sicurezza pubblica collettiva”. Ci sembra una provocazione di cattivo gusto!
Tra di noi ci sono tantissimi soggetti con gravi patologie come diabetici, cardiopatici, invalidi, persone con problemi respiratori specialmente anziani, nonché tantissimi tossicodipendenti, persone con serie depressioni e patologie psichiatriche, permetteteci di dirlo, una discarica umana.
Noi tutti con molta responsabilità vogliamo lanciare allo stesso tempo un grido di aiuto ma anche un invito a provvedimenti atti al contenimento del virus all’interno delle carceri e al problema del sovraffollamento, perché connessi fra loro.
Pur essendo fiduciosi nelle istituzioni che stanno affrontando un’emergenza unica nel suo genere, vorremmo richiamare l’attenzione anche su di noi e vorremmo ricordare che esistono gli strumenti e le norme già contemplate dal nostro sistema giuridico. Malgrado l’esigua applicazione, basterebbero da sole a risolvere gran parte dei problemi.
Vorremmo ricordarLe, Signor Presidente della Repubblica, che le istituzioni tutte hanno la responsabilità e il dovere di tutelare anche le fasce più deboli e indifese della società.
Al “nostro” Papa Francesco diciamo grazie e non ti preoccupare se i potenti non ti ascoltano o ti ascoltano poco, noi ti vogliamo bene.
In questo momento particolare, in cui siamo un po’ tutti più uguali, siamo molto fiduciosi che questo nostro grido di aiuto non cadrà nel vuoto. Ci dispiacerebbe se fosse l’ennesima occasione persa».
 
 
I DETENUTI della Casa di Reclusione Due Palazzi di PADOVA (Cooperativa sociale Giotto-Cooperativa sociale Altra Città)
Le DETENUTE della Casa di Reclusione della Giudecca di VENEZIA (Cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri-Cooperativa sociale Il Cerchio)
 
(Fonte settimananews)