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Milano è capofila delle pene alternative, così 900 condannati aiutano i lno profit

Le alternative al processo e al carcere esistono. E funzionano. Hanno due nomi che alle persone normali dicono poco: "esecuzione delle condanne ai lavori di pubblica utilità" e "sospensioni del procedimento per messa alla prova". Tradotti, significano ore di volontariato da svolgere in sostituzione della pena nel primo caso e al posto del processo nel secondo. Di fatto, sono due istituti giuridici che rappresentano la chance di non sentirsi un criminale, offerta a chi commette per la prima volta piccoli reati (con pene fino ai 4 anni): dalla guida in stato di ebrezza all’imbrattamento, dalle false dichiarazioni ai furti di pagnotte al supermercato.
I numeri
L’ultimo dato raccolto sul territorio di Milano parla di 2.593 processi evitati grazie alla messe alla prova degli imputati, su un totale nazionale di 13.481, mentre durante tutto l’anno sono stati registrati circa 900 casi di condanne tramutate in lavori di pubblica utilità, a fronte degli 8.401 in tutta Italia.
Le convenzioni
Il tribunale di Milano è stato il primo ad attivare un protocollo da quando, nel 2011, i lavori di pubblica utilità sono diventati una strada percorribile. Un ruolo da precursore, a livello italiano, che si è ripetuto anche nel 2014 quando è entrata in vigore la legge in materia di messa alla prova. A oggi si contano 145 enti convenzionati sul territorio che si sono dichiarati disposti ad arruolare tra le file dei loro volontari persone che hanno avuto problemi con la giustizia. Nell’elenco degli enti convenzionati ci sono 53 Comuni, ma anche 60 tra associazioni e onlus. Si va dalle più celebri come Casa della Carità, Exodus e City Angels, a realtà più piccole come ad esempio Miagolandia, associazione attiva su Mediglia che si occupa della cura e della sterilizzazione di gattini randagi.
Perché funziona
"Un progetto che per il tribunale di Milano è motivo d'orgoglio — spiegano Monica Amicone e Chiara Valori, le giudici che si sono occupate del programma su richiesta del presidente del tribunale Roberto Bichi — principalmente perché funziona: tutti gli enti convenzionati hanno espresso soddisfazione per il lavoro svolto. E non sono state segnalate criticità". Un successo secondo tutti, dagli avvocati ai giudici, fino agli imputati che in queste categorie di reati hanno un'estrazione sociale molto variegata: si va dal professore universitario ubriaco al 18enne che ha lasciato gli studi. "Nel caso delle messe alla prova, ad esempio, è anche una questione di dignità personale — aggiungono Valori e Amicone — sono persone che vivono il processo in sé come una condanna e la possibilità di evitarlo per loro è importante". Fondamentale anche per gli extracomunitari, ad esempio, perché il reato, al termine del programma, viene estinto. "Molti di loro non possono rischiare di prendersi una condanna — spiega Valentina Alberta, avvocato e membro della Camera penale di Milano — altrimenti perderebbero il permesso di soggiorno. L’utilità di questi istituti sta poi anche nella possibilità di evitare il carcere per reati minori, che aumenterebbe invece il rischio di recidiva soprattutto nelle fasce sociali più deboli. Sono dell'idea che potrebbero essere inclusi pure reati con pene che arrivano fino ai cinque anni".
Le criticità
Le messe alla prova andate male si contano sulle dita della mano, tuttavia mancano dei dati sulla recidiva, ovvero quanti sono comunque tornati a delinquere anche dopo il programma: "Numeri che sarebbe importante conoscere", aggiungono Valori e Amicone. Fermo restando che l’esperienza nella stragrande maggioranza dei casi è positiva: "Spesso le persone rimangono a fare volontariato in quelle associazioni anche dopo la fine dell’obbligo". Un sistema che sta entrando a regime, quindi. Anche se le differenze con quello del tribunale dei Minorenni — rodato da tempo — sono evidenti. La principale riguarda le risorse: i soldi destinati all’Uepe, l'ufficio che si occupa di proporre all’autorità giudiziaria il programma di trattamento da applicare a chi chiede la messa alla prova, sono inferiori rispetto ai fondi stanziati per i minorenni: "Meno risorse significa relazioni più stringate e programmi più standardizzati, quindi minori informazioni nelle mani del giudice", spiega Chiara Valori.
Il futuro
C'è poi la criticità delle lunghe attese: i numeri di posti disponibili sono insufficienti rispetto al fabbisogno e sempre più spesso i tempi per arrivare a svolgere le ore di volontariato accordate dal giudice si allungano. Per questo in tribunale stanno studiando un modo per far crescere il numero delle convenzioni e anche per raccontare alla cittadinanza il progetto: ovvero come, a volte, la giustizia costruisce e ripara, invece di limitarsi a punire.
(Fonte la Repubblica)