News

Il Papa al carcere di San Vittore: Per curare il cuore di Gesù ferito

Una tavolata di circa 50 metri, apparecchiata con una tovaglia gialla di carta. Un menù - uguale per tutti - tipicamente meneghino: risotto allo zafferano, cotoletta e patatine, panna cotta, con una nota "romana" del carciofo alla giudia. Il pranzo di Papa Francesco con un centinaio di detenuti del carcere di San Vittore si è svolto così, con semplicità. La stessa semplicità che sta caratterizzando l'intera visita nella metropoli lombarda, dove il Pontefice è giunto alle prime ore del mattino presentandosi nella periferia delle Case Bianche «come un sacerdote».

E «come un sacerdote» Francesco ha varcato la soglia della nota casa circondariale poco dopo mezzogiorno, dopo aver pregato l'Angelus con migliaia di fedeli in piazza Duomo. «Vi ringrazio dell'accoglienza. Io mi sento a casa con voi», ha esordito il Vescovo di Roma. «Gesù ha detto: "Ero carcerato e tu sei venuto a visitarmi". Voi per me siete Gesù, siete fratelli. Io non ho il coraggio di dire a nessuna persona che è in carcere: "Se lo merita". Il Signore ama me quanto voi, lo stesso Gesù è in voi e in me, noi siamo fratelli peccatori. Pensate ai vostri figli, alle vostre famiglie, ai vostri genitori. Passo tanto tempo qui con voi che siete il cuore di Gesù ferito. Grazie tanto e pregate per me».

Quella nel carcere è divenuta ormai una tappa obbligatoria delle trasferte del Papa argentino nelle diocesi italiane o durante i viaggi internazionali: a Poggioreale a Napoli o a Castrovillari in Calabria, come a Palmasola in Bolivia, Ciudad Juàrez in Messico o nella "Casa Correccional Buen Pastor", istituto penitenziario femminile in Paraguay.

Un segno di attenzione da parte del Pontefice verso una fascia "debole" ed emarginata della società, della quale lui stesso si sente in qualche modo partecipe: «Ogni volta che entro in un carcere mi domando: "Perché loro e non io?"», ha sempre detto il Papa. Parole alle quali hanno fatto seguito continui gesti di vicinanza ai detenuti e appelli incessanti per garantire loro migliori condizioni di vita e il rispetto dei loro diritti.

Un messaggio che il Papa riverbera anche oggi a Milano, visitando l'antica struttura in via Filangieri inaugurata nel 1879 durante il Regno d'Italia, nella quale furono rinchiusi i prigionieri politici durante l'epoca fascista. Si tratta probabilmente della tappa più significativa del viaggio a Milano, sicuramente è quella più lunga: circa tre ore che Bergoglio ha trascorso, insieme al cardinale Angelo Scola, con agenti, educatori, operatori sanitari e rappresentanze di volontari (due sacerdoti, un diacono, 10 suore e 4 seminaristi presenti a San Vittore) e con il cappellano don Marco Recalcati.

Proprio nella stanza adibita per il cappellano il Papa si è riposato per una trentina di minuti, non tornando in episcopato come consuetudine ma facendo una piccola siesta prima della grande messa in rito ambrosiano nel parco di Monza, in programma alle 15. Una novità assoluta che ha stuzzicato la curiosità dei fedeli e dei numerosi media nei giorni scorsi. 

Più nel dettaglio, la prima parte della visita di Francesco a San Vittore – dopo il saluto alla direttrice Gloria Manzelli e alle autorità - è stata dedicata all'incontro con alcune detenute accolte da Icam (Istituto Custodia Attenuta per Detenute Madri) e i loro bambini. Una di loro ha confessato al Papa: «Rischiamo di sprofondare nel buio», e un'altra ha aggiunto: «Vogliamo fare un percorso di fede e di inserimento sociale». Il desiderio di tutti i carcerati, ha spiegato la donna, «è di tornare a vivere la nostra vita quotidiana, lavorare e rientrare a casa la sera in famiglia. Siamo peccatori come tutti, ma capaci di provare sentimenti come ogni essere umano». 

È seguita la visita al centro clinico, al settore femminile e ai giovani adulti; nella rotonda centrale l'incontro con 80 detenuti di tutti i reparti, in rappresentanza degli 860 ospitati in totale nell'istituto. Al sesto raggio, un momento con i detenuti "protetti", ovvero forze dell'ordine, transessuali, o chi ha commesso reati verso donne, bambini e anziani. Non è mancata la visita ai reparti per i detenuti "comuni", dai colpevoli di omicidio agli accusati di truffe.

Un recluso ha chiesto al Vescovo di Roma di pregare insieme: anzitutto «per coloro ai quali abbiamo fatto del male perché possano perdonarci», poi perché in carcere ci sia «pace» seppur con persone di diverse etnie, infine «perché il mondo politico affronti quanto prima la riforma delle carceri» e ci sia finalmente «dignità» e possibilità di «recupero» per tutti. Le preghiere servono pure a far cessare «le ingiustizie, le persecuzioni, le violenze, le discriminazioni razziali...», ha sottolineato il carcerato, che davanti al Pontefice ha lodato il lavoro di «tutti i volontari che ci aiutano, che portano speranza e amore» perché «ci sono vicini senza pregiudizi».

Il Papa ha stretto la mano ad ognuno, con pazienza, a qualcuno ha concesso anche un abbraccio. A tutti ha rivolto una parola di incoraggiamento. Un saluto speciale è andato ad un giovane agente in carrozzina che ha dovuto lasciare il servizio, e a Maria, decana dei volontari con 93 anni di età e 27 di volontariato a San Vittore, alla quale il Papa, scherzando, ha detto: «Mi dia la ricetta». Un ragazzo e una ragazza hanno poi letto una lettera per raccontare la loro storia e la preparazione a questa visita, iniziata da dicembre e alimentata da quella che gli operatori di San Vittore chiamano "Radio carcere", un'emittente con diffusione interna che ha tenuto i detenuti aggiornati su quanto succedeva all'esterno in vista dell'arrivo del Successore di Pietro.

Il pranzo di Papa Francesco con 100 detenuti si è svolto invece nel terzo raggio. Ogni pietanza era cucinata dagli ospiti di San Vittore, coordinati da uno chef che già presta servizio nella struttura. Al termine, si è tenuta la benedizione dei doni offerti dai detenuti: una sciarpa realizzata nel laboratorio interno di sartoria, alcuni prodotti artigianali, biglietti prestampati sui quali ogni carcerato ha scritto il proprio nome e quello dei propri cari, perché il Pontefice li porti con sé nella preghiera. Cosa che sicuramente Bergoglio non dimenticherà di fare (lastampa.it)