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Il dopo-Papa a San Vittore. Don Recalcati: incontro profondo con ogni persona, che riaccende la speranza

(Da Agensir.it) - Ben più di una “visita in carcere”: un “incontro personale con ciascuno” dei circa 800 detenuti di San Vittore, “un faccia a faccia che lascia il segno, specie per chi vive in una situazione delicata come questa”. Don Marco Recalcati, cappellano del carcere milanese di via Filangieri, racconta al Sir il dopo-Papa, ovvero ciò che rimane tra le mura del penitenziario cittadino, dove, sabato 25 marzo, Bergoglio ha vissuto la tappa più lunga del suo viaggio nel capoluogo lombardo.


Qual è, a pochi giorni dalla visita del Pontefice, il clima che si respira nelle celle di San Vittore?
Possiamo dire di sicuro che il suo passaggio ha segnato un momento importante per chi vive o lavora qua dentro: questo vale tanto per i detenuti quanto per gli agenti di polizia penitenziaria, i volontari, il personale. Il Papa ha voluto salutare ciascuno, personalmente, ascoltando tante storie toccanti, stringendo mani, stringendo a sé – come ho già avuto modo di raccontare – un recluso per un reato gravissimo prima ancora che quest’uomo gli potesse esprimere il suo desiderio di abbracciarlo. Sono in tanti, ora, a confidare quanta speranza, gioia, bellezza, serenità ha trasmesso Francesco. Ognuno conserva il suo ricordo personale.

Il Papa ha anche pronunciato parole profonde…
Sì, è verissimo. Ha detto ad esempio: “Qui mi sento a casa, mi sento bene con voi”. Sapendo quanta diffidenza e sospetto ci sia nei confronti del mondo carcerario, è chiaro che queste frasi vanno a toccare il cuore di chi, per una ragione o per l’altra, si trova a San Vittore. Bergoglio ha poi spiegato che non bisogna mai dire “se lo merita”, riferito al detenuto. La legge e la giustizia faranno la loro strada, ma Dio è grande, ama tutti. E poi, ha fatto capire il Papa, cosa ne sappiamo noi della storia di quella persona che si trova in prigione, dell’infanzia che ha vissuto, della famiglia che l’ha cresciuto, o meno, delle sofferenze o delle privazioni che ha attraversato? Citando poi una pagina del vangelo di Matteo (“Ma quando ti abbiamo visto in carcere…”), Francesco ha sorprendentemente detto: “Io in voi vedo Gesù”. È un netto ribaltamento di prospettiva.
 
C’è da immaginare che gesti ed espressioni del Papa siano argomento di discussione, di riflessione, di ripresa ulteriore.
Molti detenuti confidano in questi giorni ciò che il Papa ha trasmesso a ciascuno, a seconda della propria vicenda, dello stato d’animo, dei sentimenti che lo attraversano. Ci sono aspetti, qui, legati all’iter processuale di ogni persona, le cui dinamiche sono segnate dalla legge, dai tribunali. Ma esiste poi un altro elemento, connesso in qualche modo al primo, che ha a che vedere con la capacità di rileggere la propria vita, di ripensare al proprio percorso, ai valori, agli affetti, agli errori compiuti. Davvero in questo senso si può riaccendere una speranza, diventa possibile rivolgere lo sguardo al futuro. Il Papa, mi stanno dicendo in molti, “mi ha dato serenità”, “ha restituito fiducia”.
Una detenuta, in lacrime, ha detto: “Per due ore non sono stata in galera”. Altri raccontano che il Papa “ha riacceso una luce”, oppure “mi ha fatto pensare al senso della mia vita”.

Si può immaginare che a San Vittore non tutti siano credenti, e non ci siano solo cattolici. Come è stata vissuta in questo senso la presenza di Bergoglio?
Direi che è stata ben accolta praticamente dall’unanimità dei carcerati. Ci sarebbero bellissimi episodi da raccontare. Ad esempio, un recluso di fede islamica ha fatto arrivare dal suo Paese una veste bianca, che si indossa nelle festività, poi ha confezionato un pacco e l’ha donato al Papa. Ne è stato felicissimo e orgoglioso! Direi che la visita ci ha fatto sentire tutti uniti, anche coloro che si trovano nel settore dei “protetti”, ovvero coloro che hanno alle spalle i reati più efferati.

Questo appuntamento col Papa lascia dunque un segno positivo?
Sì, direi su due livelli. Anzitutto all’interno del carcere. L’incontro personale con i detenuti, aver stretto le loro mani, averli guardati negli occhi, aver condiviso con loro il pranzo, ha in qualche modo restituito dignità a queste persone. Se ci pensiamo, a Monza il Papa ha attraversato la spianata un po’ di corsa sulla “papamobile”; qui ha avuto un gesto, uno sguardo, una parola per ognuno.

Ma la visita può portare anche qualche elemento di novità al di fuori dei cancelli di San Vittore.
Può riportare il carcere stesso in un contesto civile e sociale, può ricordarci che in prigione ci sono donne e uomini come noi, che hanno sbagliato, ma sono persone, proprio come noi. Anche per questa ragione io insisto nel sostenere che il carcere debba rimanere qui, in mezzo alle case, in città. In questo modo i muri si assottigliano un poco.